domenica 14 aprile 2019

Rimini e la monorotaia

Dal "Piano De Carlo" all'impianto di Italia in Miniatura


di Roberto Renzi - 14/04/2019

All’architetto Giancarlo De Carlo il Comune di Rimini affidò nel 1970 la redazione del Piano Particolareggiato (PP) del centro storico e di quello che il Piano Regolatore Generale del 1965 (PRG) qualificava come futuro “centro direzionale” della città, individuato nell’area che si estende, a monte della ferrovia, dall’Arco d’Augusto alla Colonnella, allora parzialmente inedificata.
Il “Piano De Carlo” venne presentato nella primavera del 1972 e incontrò subito una forte resistenza tra i proprietari di immobili, ampiamente riflessa sulle pagine del "Resto del Carlino", per il carattere fortemente innovativo e quasi utopistico delle scelte urbanistiche, ispirate alle esperienze statunitensi di “pianificazione partecipata” maturate nel clima ideologico degli anni intorno al ’68.
De Carlo mirava a un superamento delle scelte del PRG, fondendo centro storico e centro direzionale in un’unica entità, denominata “nuovo centro”, scelta che sul versante trasportistico si concretizzava nella proposta di un sistema di trasporto rivoluzionario, una monorotaia sospesa, in grado di connettere tutte le funzioni del "nuovo centro".
Questo nuovo sistema di trasporto avrebbe dovuto, in particolare, assicurare un collegamento rapido e regolare tra i nuclei integrati, o “condensatori”, dove era prevista la concentrazione dei servizi (in ogni nucleo sarebbe stata presente una stazione) e tra questi e gli istituti dell’istruzione secondaria, offrendo per di più ai cittadini «una condizione di trasporto agevole e distesa», lontana dalle condizioni di scomodità e di isolamento visivo dei normali mezzi pubblici, che avrebbe reso possibile l’osservazione della città «da punti di vista inusitati e sorprendenti».

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La tecnologia prescelta era di origine svizzera, e precisamente il sistema “Minirail”, che era stato concepito a Thun, nel cantone di Berna, dall’impresa di Willy Habegger: un geniale inventore che, dopo aver costruito un gran numero di impianti a fune dando un contributo decisivo allo sviluppo turistico delle località alpine, si era dedicato ai mezzi di trasporto innovativi da utilizzare nell’ambito di parchi ed esposizioni, producendo una versione leggera delle classiche monorotaie sopraelevate.
La via di corsa delle monorotaie allora conosciute, di cui un esempio molto noto è costituito dall’impianto sistema Alweg costruito a Torino nell’ambito dell’esposizione “Italia ‘61” (centenario dell'Unità d'Italia), era costituita da una trave di cemento; il tutto era caratterizzato da una sensibile pesantezza, senza contare le notevoli difficoltà nella realizzazione dei deviatoi.
Nel sistema Habegger, la trave portante era d’acciaio a sezione rettangolare (mm 55 x 50) ed era sorretta da piloni pure in acciaio, posti a circa 20 metri l’uno dall’altro. Su di essa correvano convogli formati da vagoncini di sagoma ridotta.
L’impianto realizzato a Montréal (Canada) per l’Esposizione Universale del 1967 aveva fatto registrare un notevole successo, riuscendo a trasportare 5500 passeggeri l’ora e proponendo il sistema "Minirail" come tecnologia in grado di risolvere i problemi di trasporto nelle aree urbane. Altri impianti del genere sarebbero stati realizzati in seguito, tra cui quello di Sacramento (California), che la casa costruttrice indicava come prototipo cui si sarebbe ispirato il "Minirail" riminese.
Nel sistema "Minirail" ciascun vagone era munito di due porte per lato ed aveva la capacità di 12 passeggeri, accomodati in quattro divani da tre posti: la sagoma concedeva una larghezza massima di 1800 mm all’altezza della seduta. Gli elementi del treno non erano tra loro comunicanti, a causa dell’interposizione tra di essi di un carrello monoassiale con due motori elettrici di trazione.
Questi ultimi funzionavano in corrente continua, pur in presenza di un sistema alimentazione a corrente alternata trifase «di tensione e frequenza normale» costituito da conduttori fissati lateralmente alla trave portante. A bordo del treno, un gruppo rotante Ward Leonard (i moderni sistemi di regolazione elettronica erano ancora di là da venire) provvedeva a convertire la corrente da trifase a continua.
Il rodiggio del treno era piuttosto complesso: gli elementi interposti tra i vagoni poggiavano su un asse virtuale costituito da due ruote motrici munite di pneumatici e azionate ciascuna da un motore elettrico. Quattro “ruote di guida” mantenevano l’asse sulla sede e due “ruote di sicurezza” ne impedivano il distacco dalla via di corsa, agendo sotto la trave. Il primo asse dell’elemento di testa e l’ultimo di quello di coda erano folli.
La frenatura era costituita da due sistemi: mentre i motori di trazione  avrebbero funzionato come freni a recupero, su ciascuna ruota agiva un freno a disco, che entrava in azione in caso di caduta di corrente o guasti al sistema elettrico e fungeva da freno di stazionamento.
Il "Minirail" era proposto in versione da 9 vagoni per una lunghezza complessiva del convoglio di  39,50 m e portata di 102 passeggeri, tutti seduti. La casa costruttrice offriva anche la possibilità di un sistema di guida automatico, in alternativa alla conduzione manuale dei convogli, senza però addentrarsi in particolari tecnici.
Quanto alla via di corsa, costituita come si è detto da una trave metallica di limitata sezione, nei documenti prodotti da Habegger non erano descritte le caratteristiche dei deviatoi, necessari sia in deposito che per le biforcazioni in piena linea; tuttavia da un filmato mostrato durante la presentazione del sistema si ricavava che la deviazione avveniva mediante una rotazione della trave. I deviatoi non erano presenti ai capilinea, dove era previsto un cappio di ritorno (i treni sarebbero stati monodirezionali).

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La casa costruttrice del "Minirail" predispose anche un progetto di massima dell’impianto per la città di Rimini. Il sistema era composto da un tronco a doppia trave, dello sviluppo in asse di 4650 m e da un tronco a trave unica, cioè a un solo senso di marcia, lungo 2545 m. La tratta a doppia trave aveva la funzione di connessione tra quelli che il progettista qualificava come i «punti fondamentali della città»: Marina Centro, stazione ferroviaria, centro storico (in tangenza nella zona di piazza Castelfidardo), “asse di sviluppo”, nuovo ospedale, per poi scavalcare nuovamente la ferrovia e terminare sul lungomare, all’incirca a metà strada tra lo sbocco della via Lagomaggio e il piazzale Gondar. Lungo questo percorso si trovavano nove stazioni (compresi i due capilinea) alla distanza media di 560 metri.
Il percorso a senso unico, lungo il quale si trovavano cinque stazioni, aggirava invece il centro storico, permettendone l’accessibilità dall’esterno.
Nel progetto di massima quest’ultimo itinerario è concepito come deviazione di percorso in un solo senso di marcia, con uno sviluppo di 3670 m (vedi foto 4), ma un più razionale utilizzo sarebbe stato come linea circolare, con due stazioni comuni alla linea principale.
Secondo i dati di progetto, i convogli avrebbero posseduto un’accelerazione di 0,8 m/sec2, muovendosi a una velocità di 7 m/sec. Valutati - forse un po’ troppo ottimisticamente - i tempi di fermata in 20 secondi, se ne desumeva una velocità commerciale di 17,64 km/h e tempi di percorrenza di 15+15 minuti (andata e ritorno) per la linea principale, 13 (intero giro) per la circolare.
Se le prestazioni non erano eccelse dal punto di vista della velocità d’esercizio, il sistema trovava punti di forza nella possibilità di offrire un’alta frequenza dei transiti – fino a 80 secondi di intervallo tra un treno e l’altro, corrispondenti ad una portata oraria di 4500 passeggeri per senso di marcia – oltre che ovviamente nell’assenza di interferenze con la normale viabilità.
Per completare il quadro, si aggiunga che sulla rete la pendenza massima prevista era del 4% e il raggio di curvatura minimo di 25 metri. La potenza installata su ciascun convoglio (65 kW orari) e la capacità di inscriversi in curve strette non rendevano problematici questi parametri.
Il preventivo pervenuto dall’azienda svizzera per la fornitura di 25 treni ed il montaggio dell’infrastruttura ammontava a poco meno di tre miliardi di lire del 1971 (corrispondenti a circa 21 milioni di euro al change-over del 2002), cifra di non facile reperimento per un’amministrazione esclusa dalle leggi vigenti all’epoca in materia di trasporti metropolitani.

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Fin qui il progetto di massima, che non sarebbe mai entrato in fase esecutiva, lasciando senza risposta domande del tipo come sarebbero state realizzate le stazioni, dove sarebbe potuta passare la trave senza provocare impatto visivo, ecc.
Acclusa al Piano De Carlo vi è la relazione del professor Guglielmo Zambrini del Politecnico di Milano, uno dei maggiori esperti italiani in materia di trasporto metropolitano, che fu incaricato di vagliare la validità del progetto. Ebbene, nello scritto del Zambrini è contenuto più di un cenno all'insufficienza della monorotaia leggera a risolvere i problemi della mobilità nella città di Rimini: «il Minirail (…) è un sistema lento; la già vista velocità commerciale dell’ordine dei 17 km/h (con fermate ogni 500 metri) non consente di spingerlo oltre i 6–7 chilometri, un viaggio dunque dell’ordine di 20–25 minuti».
Si coglie in questa considerazione dell’acuto studioso un’anticipazione dell’inadeguatezza dei sistemi tipo people mover - dei quali il "Minirail" può essere considerato un antesignano - a costituire una vera e propria alternativa alle metropolitane: il loro uso resterà confinato ad ambiti limitati quali servizi navetta sulle brevi distanze o dentro parchi e aeroporti.
Per il trasporto costiero, che comunque resta l’unico ambito in cui nella realtà riminese si registrano rilevanti punte di traffico, secondo Zambrini era auspicabile una soluzione “fuori strada”, che però difficilmente sarebbe potuta venire da un uso "metropolitano" della ferrovia, giudicato impraticabile finché non si costruisca una linea a monte per i treni a lunga percorrenza e anche perché le distanze tra le stazioni non potrebbero essere inferiori a 1500 metri, mentre il livello di urbanizzazione e le distanze in gioco richiedono una densità di fermate non troppo diversa da quella delle esistenti linee di autobus e filobus.
Per inciso, nel 1972 il servizio urbano di Rimini (compresa la filovia Rimini–Riccione) si sviluppava su una rete di dieci linee, sulle quali erano impiegati 36 autobus e 14 filobus.
Il “Piano De Carlo”, nei confronti del quale furono presentate quasi duemila osservazioni, sarebbe stato accantonato nel giro di un paio d’anni dalla stessa Amministrazione comunale. Nonostante il forte ruolo propulsivo in favore del trasporto pubblico giocato dalla crisi energetica del 1973-’74, della monorotaia non si sarebbe più parlato e i vagoncini sospesi sulla città di Rimini sarebbero rimasti nella memoria collettiva come una stravagante proposta contenuta in un utopistico piano dell'"archistar" di turno.

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Era passato più di un decennio da questi avvenimenti, quando nel 1985 all'interno del parco "Italia in Miniatura" a Viserba di Rimini fu inaugurata una monorotaia che con un anello di 730 metri circonda tutto il parco all'altezza media di 6 metri. Per quanto si tratti di un impianto assai semplice, dichiaratamente progettato e realizzato dalle maestranze del parco agli ordini del geniale fondatore Ivo Rambaldi, le affinità di "Arcobaleno" (così fu chiamata la monorotaia) con il sistema Habegger sono moltissime, dalle dimensioni della trave in acciaio, ai vagoncini in numero di dodici, per una massa complessiva di 9 tonnellate e una lunghezza di 30 metri, che trasportano sei persone ciascuno, tutti muniti di motori da 3 kW alimentati in tensione alternata trifase. Dopo trent'anni di servizio regolare che ha consentito ai visitatori una visione spettacolare del parco contenente circa trecento miniature di monumenti e paesaggi, nel 2015 l'impianto è stato fermato per problemi tecnici (leggi: blocco avvenuto con passeggeri a bordo che hanno vissuto un brutto quarto d'ora) e non è dato di sapere se il servizio riprenderà.

Quanto alla Habegger di Thun, nel 1982 l’impresa fu acquistata da un’altra società svizzera, la von Roll, che nel 1988 ne ha utilizzato la tecnologia per la realizzazione di una monorotaia nella zona portuale di Sidney: un anello a semplice trave di 3,6 km con otto stazioni ospitate all’interno di edifici, la stessa soluzione che De Carlo aveva pensato per i suoi “condensatori”. Pur essendo diventato un simbolo caratteristico della skyline della città australiana, la monorotaia di Sidney non ha avuto lunga vita: nel 2013, infatti, questo impianto è stato abbandonato a favore di altri sistemi più performanti.


FOTOGRAFIE

1. 2. Il "Miniral" Habegger realizzato a Sacramento (USA) in occasione della “California Exposition” (da Habbeger SA, Project et livrason d’une installation Minirail à Rimini).



3. La sagoma della vettura: la larghezza massima a disposizione dei passeggeri è di 1800 mm, cioè 60 cm per persona (da Habbeger SA, Project et livrason d’une installation Minirail à Rimini).


4. Il tracciato della monorotaia proposto nel “Piano De Carlo”: lo scopo era quello di  facilitare gli spostamenti all'interno del centro storico e direzionale di Rimini, mettendo un freno all'uso dell'auto privata. Tuttavia il progettista non indicò alcun parcheggio scambiatore lungo il percorso (da Habbeger SA, Project et livrason d’une installation Minirail à Rimini).


5. Quale sovraintendente avrebbe mai consentito di costruire una trave portante davanti a monumenti come l'Arco d'Augusto? Questo e altri aspetti dell'impatto che avrebbe generato una simile struttura sospesa intorno al centro storico di Rimini non furono affrontati nel progetto di massima (foto Roberto Renzi).


6. La vecchia stazione di Rimini Porta Montanara all'epoca del Piano De Carlo era da poco stata privata dei binari; con la monorotaia, che avrebbe costeggiato le mura cittadine proprio come un tempo la ferrovia per Novafeltria, sarebbe tornata agli antichi splendori! (foto Roberto Renzi).


7. La monorotaia «Arcobaleno» in esercizio dal 1985 nel parco Italia in Miniatura. È evidente la somiglianza con il sistema del costruttore svizzero (foto dal sito «Bimbi a Rimini»).


8. Il 30 giugno 2013 è l'ultimo giorno di servizio della monorotaia di Sidney: per l'occasione le vetture sono state pellicolate con le scritte Farewell Sidney e d'invito ai cittadini a compiere l'ultimo giro (foto da Repubblica.it).


9. La madre di tutte le monorotaie: l'impianto realizzato nel parco esposizioni di Torino per "Italia '61" e caratterizzato da una certa "pesantezza", a partire dalla trave in cemento su cui correva l'elettromotrice. Il sistema proposto per Rimini sarebbe stato più leggero, come denotava il nome "Minirail" (da cartolina ed. SACAT – Collezione Roberto Renzi).


10. La via di corsa, oggi in parte ancora esistente, della monorotaia torinese. L'unica vettura utilizzata su questo impianto è stata demolita dopo una ventina d'anni di accantonamento (foto Luca Kaiblinger).



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